Google+ La Natura che ci circonda: Escursione domenicale

martedì 16 giugno 2015

Escursione domenicale

Per quanto ritenga fermamente che la sveglia prima delle 8.00, la domenica mattina, dovrebbe essere vietata per legge, capitano delle occasioni per cui si fa volentieri un'eccezione alla regola. Una domenica di qualche tempo fa è stata una di quelle, anche se i miei piedi non sono stati molto felici della scelta fatta.
Appuntamento alle 9:00, si è organizzato un gruppo per una visita guidata lungo dei percorsi sterrati immersi nel verde. Il tempo nuvoloso ha permesso di camminare senza soffrire eccessivamente il caldo, per lasciare spazio al Sole verso mezzogiorno, quando eravamo già sulla via del ritorno.
Il percorso si spinge giù, fino ad un piccolo fiume dove ogni tanto abbiamo liberato qualche Emys orbicularis curata al centro, per poi risalire ad anello, anche se con varie opzioni di tragitto. In giro ci sono anche alcuni vecchi mulini ad acqua, purtroppo ormai quasi distrutti dal tempo.
L'escursione è stata molto interessante, nonostante l'abbia seguita più volte; volta ho potuto imparare qualcosa di nuovo.



Siamo partiti e ben presto ci siamo inoltrati in una zona sterrata, in cui abbiamo trovato pini, querce, sughere, corbezzoli ed altro ancora.
Man mano che scendevamo, la guida si è soffermata a parlare di alcune specie floristiche fra cui il corbezzolo, pianta in forma cespugliosa o arborea, dai frutti piuttosto buoni. Quando sono maturi assumono un colore rosso acceso e, come si dice per le ciliegie, uno tira l'altro. Tuttavia, in questo caso non è bene seguire troppo la gola, in quanto un alcaloide presente nella drupa può causare problemi; da qui deriva anche il nome scientifico della pianta, Arbutus unedo, che sta ad indicare che sarebbe meglio mangiare uno solo.
Siccome la pianta presenta alcuni momenti del ciclo biologico in cui su di essa sono presenti contemporaneamente i frutti maturi di colore rosso, le foglie verdi ed i fiori bianchi, alcuni l'hanno considerata rappresentativa dell'Italia, della quale porta i colori della bandiera. Nella storia del passato, questa pianta è stata sempre molto utilizzata: i frutti si consumavano sia freschi che sotto spirito, per la preparazione di marmellate e di liquori. Il legno veniva utilizzato per la produzione di pipe, utensili da cucina e carbone.




Proseguendo siamo arrivati ad una piccola parete ricoperta da Edera, pianta rampicante che può raggiungere anche i 15 metri di altezza. E' una pianta parassita che si avvolge ai fusti degli ospiti, entrando in competizione per la luce e crescendo fino a sopraffarli. Credo che tutti l'abbiamo vista almeno una volta in qualche giardino o sui muri esterni di qualche casa, utilizzata come ornamento; è molto bella da vedere, ma occhio a tenerla lontano dalla bocca poiché è pericolosa a causa della presenza di un glicoside tossico, l'ederina, contenuto in tutta la pianta ed in particolare nelle bacche. Viene impiegata ad uso cosmetico (esterno ovviamente) poiché sembra molto efficace contro la cellulite (una camionata per me, grazie! :D ).





Camminando, camminando, abbiamo trovato un bel gruppetto di piante della macchia mediterranea, felicemente cresciute insieme. Fra queste piante vi erano anche il Lentisco e la Ginestra.
Il primo, un arbusto di dimensioni anche notevoli, ai tempi in cui ancora ci si affidava alla Natura per le proprie necessità, era considerato il maiale dei vegetali, poiché se ne utilizzavano tutte le parti senza buttarne nulla, dalle radici alle foglie e, addirittura, anche la cenere. La pianta, infatti, è ricca di potassa e la cenere che ne deriva veniva utilizzata per lavare e sbiancare i panni. Le radici, se non ricordo male, venivano utilizzate per la produzione di legacci, mentre il frutto, una drupa, si utilizzava come spezia, come frutta, come mangime per gli animali da cortile o anche per estrarre dell'olio. Dalla macerazione delle foglie si estraeva del colore giallo e dal tronco, tramite incisioni sulla corteccia, si ricavava la resina, che veniva masticata per sbiancare i denti. Inoltre la pianta viene utilizzata anche come portainnesto per il pistacchio, del quale è parente, e come addobbo floreale.
La Ginestra, invece, è una leguminosa dai deliziosi fiorellini gialli molto profumati, che forma cespugli di varie dimensioni, di solito posizionati a macchia di leopardo (questo lo dico giusto perché la vedo sempre così; potrei anche sbagliarmi). Dalla pianta, dopo lunga preparazione, le popolazioni antiche ottenevano una fibra grezza, molto importante nella produzione tessile per la creazione di coperte, tovaglie, asciugamani e sacchi. Inoltre la Ginestra veniva utilizzata per la costruzione delle capanne dei pastori e per legare i tralci della vite.




Abbiamo proseguito ancora per raggiungere delle piccole sugherete. Le querce da sughero sono degli alberi maestosi ed imponenti; io le ho sempre trovate molto belle. Per altro sono anche molto utili, visto che da esse si trae, appunto, il sughero; questo viene estratto da operai specializzati, detti "scorzini", che agiscono operando sul tronco due incisioni trasversali ad altezza stabilita ed una o due verticali, così da poter staccare la corteccia. La guida, a questo punto, ha ironicamente sottolineato che "la donna, in natura, non va mai toccata!". Questa affermazione dipende dal fatto che dalla prima estrazione si ottiene il sughero maschio (la corteccia esterna, per spiegarmi), tanto che l'operazione viene detta "demaschiatura", e che durante l'operazione non bisogna mai incidere la parte sottostante, che corrisponde a quella femminile, pena grave danneggiamento della pianta. Dopo circa 9-10 anni dalla prima operazione, comunque, si può ripetere il tutto ottenendo il sughero gentile, evidentemente più pregiato.
Nell'estrazione del sughero interviene la legge, la quale prevede che esso si possa prelevare solo su piante che abbiano una circonferenza del fusto non inferiore a 45-50 cm ed in un periodo compreso tra il 15 maggio ed il 15 agosto.
Le ghiande delle querce da sughero venivano utilizzate per l'alimentazione dei maiali.




Scusate l'emoticon ma dovevo coprire un viso XD


La passeggiata è proseguita in mezzo ad altre piante e fiorellini molto meritevoli di essere immortalati in fotografia, ma dei quali, sinceramente, non saprei dirvi assolutamente niente. Tuttavia ve li faccio vedere lo stesso, perché trovo il tocco floreale molto artistico :D Magari qualcuno di voi sa cosa sono.




Fra le piante erbacee, abbiamo incrociato il Tarassaco (Dente di leone), che può essere interessante per coloro che posseggono delle testuggini, sia palustri che terrestri, visto che è ottimo per la loro alimentazione, insieme a tutti i tipi di cicoria.
A parte ciò, il tarassaco viene molto usato in tutte le sue parti o quasi, per scopi culinari, sia per accompagnare altri cibi, come ad esempio gli arrosti di carne, sia da solo. Io non l'ho mai mangiato, ma mi dicono che è molto buono.



Tornando alle piante arboree, il dente di leone della foto soprastante si trovava in prossimità di un bel frassino o orniello, Fraxinus ornus, (e qui gli amanti dell'horror si sbizzarriscano). Chi sa quale uso avrebbe questo genere di pianta, in relazione alla mitologia e al folklore? (Obsidian, Nick, è una domanda facile facile e so che non mi deluderete b-( ).
Non ho idea di quale sia la nascita della leggenda, comunque posso dirvi che il nostro alberello ha avuto anche una funzione molto più normale. In passato, infatti, vi erano dei boscaioli specializzati che, tramite delle incisioni trasversali sulla corteccia della pianta, ne estraevano un dolcificante naturale, qualitativamente molto superiore allo zucchero: la manna (da non confondere con quella della Bibbia, che sarebbe riconducibile ad un lichene). Esistono diversi tipi di manna che non sto qui a spiegarvi, comunque, sebbene per la tipologia di zuccheri in essa contenuta sarebbe un ottimo dolcificante (40-60% di mannitolo, 3-5% glucosio e fruttosio), l'estrazione di questa sostanza è estremamente complessa e macchinosa, per cui è stata soppiantata dallo zucchero, anche se in alcune regioni il suo commercio è stato mantenuto fino al 1910.
Con il legno molto resistente ed elastico dell'orniello, si realizzavano parti dell'aratro, i bastoni dei pastori e i manici delle accette. La corteccia veniva applicata sul mantello degli animali o aggiunta all'acqua di abbeverata per uso antiparassitario.



La gita è proseguita con una deviazione dal tragitto originariamente previsto, per andare a vedere una sughera ritenuta particolarmente meritevole di visita (per l'esattezza quella della soprastante fotografia con emoticon), deviazione che ci ha fatti "imperticare" su per una salita di cui non voglio sapere la pendenza, esattamente quando le nuvole si sono fatte da parte per lasciare spazio al Sole e i suoi caldi raggi. Arrivati in cima alla salita, più o meno con la stessa freschezza di una capra montana al termine di una scalata (ma decisamente non con la stessa agilità), abbiamo fatto un'ultima deviazione per andare a vedere i daini del parco, prima di tornare sul percorso principale e rientrare.
Devo dire che i daini sono stati abbastanza socievoli, in particolare un maschietto che è rimasto ad osservarci incuriosito attraverso la recinzione.


 Rapidissima dissertazione sul Daino: questo è un mammifero ruminante appartenente alla famiglia dei cervidi. Il maschio nella stagione degli amori è facilmente riconoscibile dalla forma appiattita latero-lateralmente dei suoi palchi ramificati (distinzione fra palchi e corna: i primi sono strutture presenti nei cervidi, costituite da cheratina, caratterizzati dalla caduta e la neoformazione annuale. Quando spuntano sono ricoperti da velluto, una struttura altamente vascolarizzata, che in seguito ossifica lasciando spazio alla struttura ben sviluppata. Solitamente i palchi sono presenti solo nei maschi, eccezion fatta per le renne, dove li presentano entrambi i sessi. Le corna sono invece strutture osse o cheratinose - come nel caso del rinoceronte - e sono "fisse", ovvero non cadono per poi riformarsi alla successiva stagione). Il mantello è folto e pomellato ed il corpo è agile e adatto alla corsa ed al salto, che può superare anche i due metri di altezza. Subito al di sotto della corta coda, si trova una macchia di colore chiaro che ricorda la forma di un triangolo rovesciato e prende il nome di "specchio anale". Questa è molto importante nella vita di gruppo poiché, in caso di comunicato pericolo e fuga, ogni daino seguirà lo specchio anale dell'esemplare che lo precede, individuando esattamente la direzione da prendere per non perdere il branco; il segnale di pericolo è dato dal sollevamento della coda, in seguito al quale ogni membro del branco si dà alla fuga, anche se non ha individuato direttamente la fonte di allarme.



I cuccioli dei daini, come quelli dei cervi e dei caprioli, alla nascita non emanano odore e per le prime settimane di vita vengono nascosti dalle madri in mezzo ai cespugli e sul terreno, dove restano immobili e fiduciosi nel loro mantello mimetico per sfuggire ai predatori, indi ragion per cui non andrebbero toccati se non riconosciuti malati o feriti. In caso contrario, infatti, la madre sentirebbe l'odore dell'uomo sul suo piccolo e lo abbandonerebbe lasciandolo morire di stenti (all'argomento avevo già dedicato attenzione nel mio primissimissimo post: "Capriolo e cervo... questi sconosciuti").
Per quanto mi piaccia molto, devo dire che il daino allo stato selvatico in Italia non mi fa molta simpatia, poiché si tratta di una specie alloctona giunta qui per importazione da parte dell'uomo, che entra in competizione per cibo e territorio con i cervidi nostrani, quali il cervo (che ancora ancora si può ben difendere, viste le dimensioni) ed il piccolo capriolo. La mia opinione su quale sia il trattamento da riservare alle specie alloctone lo sapete bene perché ne ho parlato in un altro post, quindi non mi dilungo ulteriormente.




Ammettendo che c'è il trucco, perché non mi ricorderei mai tutte queste cose senza un aiutino, vi dico che questa volta ho sbirciato da un interessantissimo libro, il cui nome è "Etnobotanica: piante e tradizioni popolari di Calabria" (e con questo abbiamo pure svelato il mistero misterioso della mia collocazione).



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4 commenti:

  1. Bella gita, Poiana!!!
    Sono cose che fanno bene all'umore e allo spirito. Libertà e tante cose nuove da scoprire o riscoprire.

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    1. Ciao Patricia,
      in effetti ce ne vorrebbero di più di gite così, soprattutto in questo periodo.
      Un abbraccio cara

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  2. Io di levatacce ne faccio raramente, perché, in generale, sono di lento avvio, ma devo dire, che effettivamente ne vale sempre la pena.
    Bella gita.
    (metti il banner, mi raccomando!)

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    1. Ciao Squitty, non parliamo di avvio lento. È da tre ore che cerco di svegliarmi stamattina 😅 mi alzo velocemente prima dell'alba solo quando devo andare in venatoria, se no ho il risveglio dal letargo.
      Banner messo.
      Un abbraccio

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